Intervista
all’architetto del padiglione Coca-Cola a Expo Milano 2015.
In 9 domande la sua idea di architettura sostenibile: materiali green, soluzioni
tecniche innovative per un’estetica “eco” che rispetta l’ambiente.
Il Padiglione Coca-Cola a Expo Milano 2015 è stato progettato dall’architetto Giampiero Peia (Peia Associati),
insieme all’agenzia di Brand Experience PSLive. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare cosa si definisce oggi con architettura
sostenibile, come si conciliano sostenibilità ed estetica, le nuove sfide “eco”
e le prospettive per i giovani architetti.
L’architettura sostenibile è l’architettura che ci possiamo permettere: un’architettura cioè
senza effetti collaterali negativi per la vita degli esseri viventi e del
pianeta. L’architettura sostenibile crea cultura, valore e non danni, utilizza materiali
green, facilmente riciclabili e “sostenibili” anche perché derivanti da cicli
produttivi con un basso impatto sull’ambiente e rispetta parametri e protocolli
ufficiali (per esempio le certificazioni LEED).
La sfida di ogni architetto è risolvere problemi funzionali
dandogli un valore espressivo. Bisogna
avere un approccio pragmatico ma anche visionario, andando oltre al singolo
mandato, avendo una visione più generale. La sfida è, infatti, rispondere a un
bisogno funzionale ed espressivo portando valore e non disvalore: oggi ancora
più di prima bisogna fare il massimo per risparmiare
le risorse naturali ed evitare sprechi, perché ecologia ed economia vanno di pari passo.
Trasformando l’EGO in
ECO. La sostenibilità è una
categoria economica, ma anche estetica. È un nuovo parametro, non un
limite, uno stimolo a ricercare una nuova creatività ed espressività. Oggi l’utilizzo
di software parametrici per elaborare nuove forme può supportare la creatività verificandone
la fattibilità e l’applicazione di nuovi materiali. L’obiettivo è l’economicità ed eco-sostenibilità dei progetti, non
l’estetica fine a sé stessa.
La scelta dei materiali dipende dalle idee ma anche da vari
fattori: risorse disponibili, tradizioni locali, costi. Tendenzialmente scelgo materiali che non portino sprechi, che
isolino bene l’edificio, siano facili e veloci da montare e non inquinanti
in caso di demolizione dell’edificio. Fibre di carbonio abbinate a vetri, a
marmi tagliati sottilissimi, ad alluminio alveolare, … per sostenere,
alleggerire, rinforzare, strutturare. Ma anche materiali da scavare o da
tessere come tessuti, materiali antichi ma con poco spessore e poco spreco. Amo
la leggerezza visiva e fisica. La luce
stessa per me è un “materiale”, sia naturale che artificiale, sia che entri
o esca dall’edificio.
Prima di cercare ispirazione cerco di capire come risolvere
il problema/tema che mi viene posto; in secondo luogo, quale è la storia da
raccontare a chi vivrà lo spazio. L’architettura è un’arte applicata, non è
un’arte pura, per cui anche l’ispirazione non può non tener conto che si deve
rispondere a una necessità, a una funzione, pur con un’intenzione estetica. L’ispirazione
e le immagini che chiariscono il concept possono venire da un film, da un
libro, da una fotografia, da un quadro visto in una mostra ma anche
semplicemente dalla realtà. Perché
realtà e sogno/immaginazione sono i due mondi paralleli e inscindibili della
nostra vita. A volte l’architettura ispira l’architettura, ma più spesso è la realtà non architettonica a
generare l’idea.
È un po’ come fare il
“regista” cinematografico: bisogna saper mettere insieme aspetti tecnici,
organizzativi, …la sfida sta nella “regia”. Bisogna sapere un po’ di tutto,
come il regista sa di fotografia, luci, sceneggiatura, recitazione, musica….
Non si tratta di essere tuttologi ma di coordinare più discipline. Ciò che
conta è il pensiero individuale, l’idea su cui ci si arrovella notte e giorno,
ma anche il lavoro di squadra che permette di realizzarla. Infine, un aspetto
divertente, vitale e fondamentale, è la
necessità e il piacere di viaggiare. Per lavoro ho visto quasi tutti Paesi
del mondo; è stancante ma anche adrenalinico. Conoscere le culture più diverse
è un nutrimento straordinario. Incontrare la cultura araba, il feng shui cinese
o il vastu indiano, mi hanno aiutato a comprendere i bisogni della committenza,
le tradizioni locali e realizzare quindi progetti contemporanei adatti per quei
Paesi.
Può suonare un po’ retorico ma il progetto più bello è
quello che farò domani, la sfida che ancora mi deve essere posta. Forse una
tipologia non ancora affrontata, indipendentemente dalla scala: una nave, un
museo galleggiante, un grattacielo con facciate che cambiano dinamicamente…
Diciamo che un architetto non sogna un
progetto che ancora deve fare, sogna di avere committenti con una visione,
un sogno che può aiutare a realizzare. Per me sono molto stimolanti i progetti pubblici, come quello appena
realizzato, ovvero il Centro Buddista più grande d’Europa, perché è un’opera con un alto valore estetico ma
anche con un significato collettivo, centrato su valori fondanti come la pace
e il dialogo interreligioso.
A un giovane architetto direi che si sta avviando a fare uno
dei mestieri più belli al mondo, ma con una concorrenza spietata. Per questo è
necessario sognare ma avere determinazione, perché non c’è risultato senza sacrificio. Dovrà lavorare duro, viaggiare
e leggere moltissimo - e non necessariamente letture specialistiche, sfogliando
semplicemente le immagini - parlare inglese quasi meglio dell’italiano, avere
una conoscenza approfondita degli strumenti e dei software, senza limitarsi a
questo e non abbandonando il disegno a mano. E, soprattutto, dovrà utilizzare occhi e orecchi come scanner
della realtà, accumulando immagini, tante immagini, ma sforzandosi di capirne la ragion d’essere. Dovrà saper cogliere il
senso delle cose, il perché delle forme, la genesi dei riflessi della luce, trarre
dalla realtà l’ispirazione da riconvertire e utilizzare nei progetti.
Leggi qui l'intervista a Giampiero Peia sul PadiglioneCoca-Cola .

L'architetto Giampiero Peia
1. Cosa si intende
per “architettura sostenibile” oggi?
L’architettura sostenibile è l’architettura che ci possiamo permettere: un’architettura cioè
senza effetti collaterali negativi per la vita degli esseri viventi e del
pianeta. L’architettura sostenibile crea cultura, valore e non danni, utilizza materiali
green, facilmente riciclabili e “sostenibili” anche perché derivanti da cicli
produttivi con un basso impatto sull’ambiente e rispetta parametri e protocolli
ufficiali (per esempio le certificazioni LEED).
2. Quali sono le
nuove sfide con cui deve misurarsi un architetto?
La sfida di ogni architetto è risolvere problemi funzionali
dandogli un valore espressivo. Bisogna
avere un approccio pragmatico ma anche visionario, andando oltre al singolo
mandato, avendo una visione più generale. La sfida è, infatti, rispondere a un
bisogno funzionale ed espressivo portando valore e non disvalore: oggi ancora
più di prima bisogna fare il massimo per risparmiare
le risorse naturali ed evitare sprechi, perché ecologia ed economia vanno di pari passo.
3. Come si conciliano
sostenibilità ed estetica?
Trasformando l’EGO in
ECO. La sostenibilità è una
categoria economica, ma anche estetica. È un nuovo parametro, non un
limite, uno stimolo a ricercare una nuova creatività ed espressività. Oggi l’utilizzo
di software parametrici per elaborare nuove forme può supportare la creatività verificandone
la fattibilità e l’applicazione di nuovi materiali. L’obiettivo è l’economicità ed eco-sostenibilità dei progetti, non
l’estetica fine a sé stessa. 4. Ci sono dei materiali che ama di più e che utilizza più spesso nei suoi progetti?
Ci sono degli architetti che amano dei materiali più di altri. Io no, come per la ricerca formale anche per quella materica, a me piace cambiare e sfidare. Penso che tutti i materiali abbiano una loro dignità e che debbano essere utilizzati per le proprie qualità intrinseche, in termini di risposta espressiva, funzionale, tecnica ed economica. Tutti i materiali sono nobili, non solo quelli naturali. Anche i materiali sintetici (di sintesi) possono essere essi stessi super-ecologici perché fatti con materiali di riciclo. Poi conta la tecnologia: adesso ci sono le nanotecnologie per cui i materiali possono cambiare forma, in certe condizioni. Ogni progetto ha dunque il suo materiale. Un buon edificio non deve essere fatto da più di 2 o 3 materiali. In questo c’è una ricerca di essenzialità e purezza che oggi ritengo importante.
5. Ci fa qualche
esempio di materiale utilizzato nei suoi progetti?
La scelta dei materiali dipende dalle idee ma anche da vari
fattori: risorse disponibili, tradizioni locali, costi. Tendenzialmente scelgo materiali che non portino sprechi, che
isolino bene l’edificio, siano facili e veloci da montare e non inquinanti
in caso di demolizione dell’edificio. Fibre di carbonio abbinate a vetri, a
marmi tagliati sottilissimi, ad alluminio alveolare, … per sostenere,
alleggerire, rinforzare, strutturare. Ma anche materiali da scavare o da
tessere come tessuti, materiali antichi ma con poco spessore e poco spreco. Amo
la leggerezza visiva e fisica. La luce
stessa per me è un “materiale”, sia naturale che artificiale, sia che entri
o esca dall’edificio.
6. Da dove trae
ispirazione per i suoi progetti?
Prima di cercare ispirazione cerco di capire come risolvere
il problema/tema che mi viene posto; in secondo luogo, quale è la storia da
raccontare a chi vivrà lo spazio. L’architettura è un’arte applicata, non è
un’arte pura, per cui anche l’ispirazione non può non tener conto che si deve
rispondere a una necessità, a una funzione, pur con un’intenzione estetica. L’ispirazione
e le immagini che chiariscono il concept possono venire da un film, da un
libro, da una fotografia, da un quadro visto in una mostra ma anche
semplicemente dalla realtà. Perché
realtà e sogno/immaginazione sono i due mondi paralleli e inscindibili della
nostra vita. A volte l’architettura ispira l’architettura, ma più spesso è la realtà non architettonica a
generare l’idea.
7. L’aspetto che la
diverte di più del suo lavoro?
È un po’ come fare il
“regista” cinematografico: bisogna saper mettere insieme aspetti tecnici,
organizzativi, …la sfida sta nella “regia”. Bisogna sapere un po’ di tutto,
come il regista sa di fotografia, luci, sceneggiatura, recitazione, musica….
Non si tratta di essere tuttologi ma di coordinare più discipline. Ciò che
conta è il pensiero individuale, l’idea su cui ci si arrovella notte e giorno,
ma anche il lavoro di squadra che permette di realizzarla. Infine, un aspetto
divertente, vitale e fondamentale, è la
necessità e il piacere di viaggiare. Per lavoro ho visto quasi tutti Paesi
del mondo; è stancante ma anche adrenalinico. Conoscere le culture più diverse
è un nutrimento straordinario. Incontrare la cultura araba, il feng shui cinese
o il vastu indiano, mi hanno aiutato a comprendere i bisogni della committenza,
le tradizioni locali e realizzare quindi progetti contemporanei adatti per quei
Paesi.
8. Un progetto che
non ha ancora realizzato e le piacerebbe realizzare?
Può suonare un po’ retorico ma il progetto più bello è
quello che farò domani, la sfida che ancora mi deve essere posta. Forse una
tipologia non ancora affrontata, indipendentemente dalla scala: una nave, un
museo galleggiante, un grattacielo con facciate che cambiano dinamicamente…
Diciamo che un architetto non sogna un
progetto che ancora deve fare, sogna di avere committenti con una visione,
un sogno che può aiutare a realizzare. Per me sono molto stimolanti i progetti pubblici, come quello appena
realizzato, ovvero il Centro Buddista più grande d’Europa, perché è un’opera con un alto valore estetico ma
anche con un significato collettivo, centrato su valori fondanti come la pace
e il dialogo interreligioso.
9. Che consiglio
darebbe ai giovani che si avvicinano a questa professione?
A un giovane architetto direi che si sta avviando a fare uno
dei mestieri più belli al mondo, ma con una concorrenza spietata. Per questo è
necessario sognare ma avere determinazione, perché non c’è risultato senza sacrificio. Dovrà lavorare duro, viaggiare
e leggere moltissimo - e non necessariamente letture specialistiche, sfogliando
semplicemente le immagini - parlare inglese quasi meglio dell’italiano, avere
una conoscenza approfondita degli strumenti e dei software, senza limitarsi a
questo e non abbandonando il disegno a mano. E, soprattutto, dovrà utilizzare occhi e orecchi come scanner
della realtà, accumulando immagini, tante immagini, ma sforzandosi di capirne la ragion d’essere. Dovrà saper cogliere il
senso delle cose, il perché delle forme, la genesi dei riflessi della luce, trarre
dalla realtà l’ispirazione da riconvertire e utilizzare nei progetti. Leggi qui l'intervista a Giampiero Peia sul Padiglione
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